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Perché è così difficile abbandonare una cattiva abitudine?

Dr.ssa Sara Appoloni - Psicologa Psicoterapeuta a Pesaro

Perché è così difficile abbandonare una cattiva abitudine?

Tante volte ci capita di renderci conto di cattive abitudini che mettiamo in atto, in quel momento ce ne dispiace, una parte di noi preferirebbe che non ci fosse, poi comunque continuiamo in quella direzione. Facciamo davvero fatica a fare pulizia delle cattive abitudini per sostituirle con delle nuove positive, senza un campanello d’allarme esterno. Quindi, vediamo che di solito è la paura il motore per un cambiamento. Ne è un esempio lo smettere di fumare nel momento in cui ci viene diagnosticato il cancro.
Perché però non riusciamo ad attivarci prima? Perché aspettiamo tanto, a volte troppo, prima di fare un cambiamento nella nostra vita? Perché la motivazione dello stare in salute nel lungo periodo non è forte quanto il desiderio di perseverare nelle cattive abitudini?
Rispondere a questi interrogativi in modo esaustivo è molto complesso e il discorso potrebbe diventare molto lungo. In estrema sintesi, possiamo individuare alcuni fattori che potrebbero dare una spiegazione. Ne vediamo alcuni insieme:

  • Ottimismo irrealistico: è un concetto spesso utilizzato in adolescenza per spiegare la loro propensione al rischio. Si riferisce alla tendenza a sottostimare le probabilità che qualcosa di negativo possa accadere a noi, rispetto agli altri. Questo riguarda anche gli adulti naturalmente. C’è quindi un’aspettativa del tutto irrealistica che le cose vadano sempre bene a noi e ai nostri cari, tant’è vero che quando qualcosa stravolge i nostri piani ci rimaniamo molto male. Quindi, se penso che tutto ciò che è negativo possa riguardare gli altri, mi sento di poter continuare a perseverare nelle cattive abitudini, forte del fatto che tanto queste non avranno alcuna conseguenza su di me.
  • Ricompensa immediata della cattiva abitudine: mentre una cattiva abitudine produce un “effetto positivo” nell’immediato, una sana abitudine non ha lo stesso effetto, la nostra mente non la riconosce come così gratificante nel breve periodo. La cattiva abitudine (es. mangiare dolci zuccherati, fumarsi una sigaretta, farsi una canna, andare veloce con la macchina, stare molto tempo su internet) va a stimolare la dopamina, l’ormone del piacere e della motivazione. Una sana abitudine (es. leggere un libro, fare una camminata, meditare, pregare) ci può dare una sensazione di benessere generale poiché entra in circolo la serotonina, l’ormone che regola i nostri stati d’animo. In quest’ultimo caso il piacere è più sottile e duraturo, invece che intenso ed immediato come nel primo caso. Di conseguenza meno attraente per la nostra mente.
  • Condotta rinforzata nel tempo: La cattiva abitudine essendo ormai una consuetudine, nel tempo ha avuto molte occasioni per essere rinforzata da un punto di vista psicologico. Ogni azione seguita da un effetto positivo (quindi un rinforzo positivo) tende a mantenersi nel tempo e a ripetersi. Maggiori saranno le ripetizioni nel tempo e più forte sarà l’associazione mentale che ci porta a identificare quell’azione nel suo “effetto positivo”. Senza contare poi che anche l’ambiente circostante ci porterà a ripetere quelle stesse consuetudini. Questo è uno dei motivi per cui una persona uscita da una comunità per tossicodipendenti poi quando ritorna a casa spesso ricade.
  • Paura del cambiamento: ogni cambiamento fa paura perché modifica un equilibrio, seppur disfunzionale, mettendoci in una condizione di bilico, prima di raggiungere un nuovo equilibrio più funzionale. Per fare questo ci viene richiesto uno sforzo mentale di non poco conto. Dobbiamo osteggiare quelli che sono i nostri automatismi, fare a meno delle gratificazioni che la cattiva abitudine ci dava, modificare a volte la nostra organizzazione, il tutto per un cambiamento che non sappiamo esattamente dove ci porta. È una grande sfida per la nostra mente e ci vuole flessibilità, determinazione e una certa dose di coraggio.
  • Mancanza di consapevolezza: quando non siamo molto consapevoli di noi stessi, di ciò che al nostro corpo fa bene o fa male, di come ci sentiamo dopo aver fatto una cosa o un’altra, del perché facciamo quella o quell’altra cosa, è facile lasciarci trascinare da cattive abitudine o consuetudini sociali che però sono nocive per noi. Quando impariamo a coltivare l’ascolto di noi stessi, a partire dal nostro corpo, riusciamo davvero a mettere le basi per una scelta consapevole, mettendo noi stessi al primo posto.

Dr.ssa Sara Appoloni
Psicologa Psicoterapeuta a Pesaro


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